Messaggioda riccardo de vivo » gio 10 mar 2022, 12:51
Vedi Francesca il punto focale inderogabile che devi comprendere è che è totalmente impensabile sul nostro territorio ipotizzare la vita della fauna selvatica senza che questa abbia accesso ai terreni agricoli. La ragione è palese: fino almeno alla media montagna tutto il territorio è agricolo. E anche la gran parte del bosco è di agricoltura privata, destinata un tempo al ceduo che oggi però gli ungulati massacrano e di fatto inibiscono divorando sistematicamente i nuovi polloni. Togli i campi, togli i boschi cedui, cosa rimarrebbe alla selvaggina? Le frane, i greti dei fiumi e le strade. Se tu veramente isolassi con procedure protettive tutto il territorio legato all’economia agricola di fatto annienteresti o quasi la fauna ungulata e quindi anche il lupo. E ammesso che qualcosa possa sopravvivere in isole non collegate tra loro, come dice giustamente Silvana, sarebbe la fine di tutta la flora spontanea ivi presente, che verrebbe divorata sino all’ultima radice da povere bestie alla disperata ricerca di cibo. Insomma è pacifico, se si vuole una fauna selvatica si devono assolutamente prevedere i suoi rapporti con l’agricoltura e le sue interazioni con la flora spontanea. Questo significa gestire la Natura. Ma questo in Italia non è assolutamente mai stato fatto per spinte di interessi in ambito venatorio e, diciamocelo con amara tristezza, anche per demagogica ignoranza di una vasta utenza che ama definirsi ambientalista. Nella Mitteleuropa gli ungulati sono sempre esistiti su tutto il territorio in modo spontaneo e non come nella remota storia della nostra terra, in cui erano presenti, non si sa affatto se spontanei o importati, solo nelle riserve di caccia dei “Signori”. Ebbene, nella Mitteleuropa i problemi italiani con gli ungulati non li hanno affatto, da secoli la convivenza tra fauna selvatica, agricoltura, flora spontanea, predatori naturali e mondo venatorio sono in un equilibrio, che a noi pare un sogno. Quale il loro magico segreto? Gestione rigorosa della presenza demografica degli ungulati. I territori sono divisi per tipologia ambientale, che determina in relazione al cibo, clima e altro la densità ottimale di ungulati che vi possano vivere bene, ben nutriti e senza arrecare danni insostenibili ad agricoltura e a flora spontanea. Per esempio per i caprioli il valore ottimale arriva a 10-12 soggetti per 100 ettari nelle situazioni più favorevoli e cala invece il numero man mano che l’ambiente diviene più povero o difficile. Vengono fatti regolarmente censimenti seri e competenti, che determinino la popolazione presente e dai risultati si decide cosa fare ogni anno. Se la popolazione è inferiore o corretta non si caccia, se la popolazione supera i valori ottimali, interviene la caccia di selezione, secondo schemi precisi, che si uniformano a quanto fa il lupo in Natura: si uccidono gli animali deboli, difettosi, vecchi, qualche giovane e invece si preservano sempre i soggetti forti in età di massima esuberanza. Ecco, ricetta semplice, sperimentata da secoli, assolutamente efficace. Ma richiede persone serie e competenti sia nel mondo venatorio, sia nel mondo ambientalista. E soprattutto richiede una cultura in cui non si trasferiscano nel mondo naturale regole che valgono solo per noi uomini: il rispetto della vita e dell’individuo anche se debole o ammalato è valore morale all’interno della nostra specie, ma applicato in Natura è errore mortale, crea disastri irreparabili. Da noi si è pensato di gestire la Natura, assecondando le emozioni e gli affetti di chi non ha la minima idea delle regole selettive, che la Natura hanno creato, così bella e così vitale. Da noi quando si parla di abbattere popolazioni selvatiche in sovrannumero, avvengono le sollevazioni popolari, con mamme e bimbi che piangono pensando a Bambi. Siamo un popolo profondamente ignorante sulla Natura, e più siamo incompetenti e maggiormente si pretende di imporre le proprie idee. Cara Francesca, temo anch’io che la peste suina sarà una catastrofe per le bestie allevate, ma attualmente la sta diffondendo il cinghiale selvatico. Hai sentito di interventi radicali per contenerlo? Io no. Comunque, per non allargare troppo il discorso e annegare in un mare di parole, la soluzione degli attuali disastri degli ungulati, al momento non facile ma unica possibile, è in una gestione della fauna selvatica di tipo mitteleuropeo. Il sovrannumero si abbatte e se sotto una certa altitudine i cinghiali non ci devono essere, ebbene li si elimina in modo completo. I censimenti devono essere fatti da gente seria e non da persone che per pregiudizio pseudoambientalista, sottostimano le popolazioni con lo scopo di minimizzare gli abbattimenti. E soprattutto sarebbe necessario che la cultura ambientalista, che è preziosa, diventi una cultura vera, fatta di conoscenza e di esperienza, proteggere in Natura significa a volte anche uccidere perché l’equilibrio che genera biodiversità è la vera ricchezza. Amare la Natura significa adeguarsi alle sue regole e ricordiamolo, per noi umani, a volte esse appaiono dure e spietate.