Una delle argomentazioni classiche del mondo venatorio che spesso alimenta soluzioni drastiche per la gestione delle specie è la "sovra-popolazione" che prima o poi porterà a epidemie catastrofiche. Per cui onde evitare in via preventiva orribili scene di decine di animali morenti, si propone di farli ammalare repentinamente di "saturnismo da piombo".. cioè sparo.
Io non so se queste epidemie possano o meno avvenire, personalmente non ne ho mai viste ne sentite.
Certo è che la presenza umana con le sue molteplici attività non aiuta l'integrazione della fauna selvatica, quindi qualche tampone viene messo qua e là.
La materia è molto molto complessa e delicata, si presta a molto interpretazioni.
Enrico ha citato la fauna ittica, bè l'argomento mi preme, perchè i pesci mi hanno sempre interessato e devo dire che siamo messi male, molto male. Ogni tanto vado a pescare in Po e tra i tanti pesci ho preso solo 2 esemplari autoctoni ,(cavedani. rilasciati) oltre a Breme, Blicche, siluri, barbo atlantico, lucioperca, aspio. Se leggete ancora oggi le guide che parlano dei pesci del Po troverete alborelle, barbi italiani, savette, lasche, lucci, tinche.. e chi li ha mai visti???
Renato
Abbattimento specie "dannose"
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Re: Abbattimento specie "dannose"
Ho letto con piacere i vari interventi e ho trovato molta affinità di vedute, sicuramente al di là di quanto pensassi.
Circa l’annotazione di Emanuele non la condivido perché l’equilibrio degli erbivori può considerarsi affidabile alle risorse alimentari solo in rari ambienti limite: per il resto ovunque sul nostro pianeta l’equilibrio è sempre dato dall’interazione con i predatori. Quindi sul territorio della nostra provincia o consideriamo il lupo così capillarmente diffuso ed efficiente da arrogarsi un ruolo assoluto di limitatore ed equilibratore degli ungulati, oppure il ruolo del predatore lo deve svolgere l’uomo, cercando di imitarne ritmi e stili di prelievo. L’equilibrio si raggiunge così, se invece pensiamo di poter affidare la limitazione al raggiungimento di un limite di pressione alimentare possibile, operiamo sicuramente una scelta scellerata, per l’ambiente e anche per la specie interessata.
Per l’ambiente appare scontato: da molti anni stiamo lanciando allarmi motivati e frutto di una esperienza che forse ad altri sfugge. Non solo orchidacee, ma anche e persino maggiormente iridacee e liliacee stanno contraendosi in modo progressivamente accelerato, parecchie specie sono a rischio estinzione sul nostro territorio, è questione di tempi brevi e per alcune a nostre vedere il tempo è già passato. I cinghiali sono sicuramente al vertice di responsabilità in questo settore, ma anche i caprioli stanno per esempio estinguendo preziose e rarissime popolazioni di Epipactis, per le quali pensiamo che il danno sia già ora probabilmente irreversibile.
Caro Emanuele, se devo essere sincero probabilmente le emozioni più forti della mia vita in natura non me le hanno offerte i fiori, ma le ho provato in incontri con animali, il capriolo è un esempio di bellezza e nobiltà, il cinghiale di fierezza, coraggio e intelligenza, per non parlare del lupo che amo senza riserve. Ma quando si parla di equilibrio in natura, i nostri sentimenti e le nostre emozioni non possono contare. Occorre essere freddi e razionali e preservare come bene supremo la biodiversità in tutti i suoi aspetti. Oggi ad essere gravemente minacciate sono specie vegetali, in conseguenza di un equilibrio naturale fortemente sbilanciato per la mancanza della possibilità di una presenza predatoria commisurata. Stai tranquillo che in una Natura non così invasa dall’uomo gli ungulati avrebbero trovato un rapido contenimento nei predatori naturali e non avrebbero sicuramente raggiunto la densità attuale. Ma talora questo aspetto, anziché motivo di allarme, è stato addirittura visto come ragione di compiacimento. Proprio nel nostro mondo ambientalista, vi era un tempo chi vantava come un successo avere sul proprio territorio una densità di 80 caprioli per 100 ettari di territorio. Ecco, per me questo non è equilibrio naturale, non è buona gestione del territorio ed è stata invece la partenza per molte sventure. Ritenere di affidare il contenimento degli ungulati a semplici limiti di risorse alimentari non mi sembra proprio ipotizzabile. Se tu andassi a proporre una simile ipotesi a uno dei tanti paesi mitteleuropei, che vantano una secolare ed efficace gestione degli ungulati, credo che susciteresti molte perplessità.
Ma veniamo ai danni alla specie da superdensità di popolazione, che sarebbero stati solo una forzatura per avere un’orchidea in più sul nostro territorio. Il cinghiale è onnivoro e di bocca buona e sa quindi resistere ottimamente al sovraffollamento, creando catastrofi alla flora spontanea e all’agricoltura, ma sicuramente non si indebolisce per questo. Il capriolo invece è un brucatore selettivo e, quando si trova costretto dal numero ad accontentarsi di una dieta più generica, si indebolisce. In paesi come Austria, Ungheria, Gemania, con ambienti sicuramente più duri del nostro per la vita degli ungulati, sono molto attenti a questo fattore. E casi di epidemie da stress alimentare sono abbondantemente riportate in letteratura, tanto che è universalmente considerato il rapporto massimo sostenibile di densità per il capriolo, in ambiente ottimale, sul valore di 10-11 capi per 100 ettari.
Il nostro Paese esula da queste considerazioni? Sicuramente qui le condizioni sono particolarmente favorevoli, l’alimentazione abbondante e gl’inverni più miti. Ma in Italia epidemie da stress alimentare non sono mai accadute? Il fatto è che se queste avvengono, si verificano ovviamente selettivamente in aree protette, tipo quelle di cui dicevo con gli sbandierati 80 capi per cento ettari.
E un’epidemia da stress alimentare non sarebbe motivo di lode per chi abbia gestito in quel modo il territorio. Quindi la notizia difficilmente filtra e certo si fa di tutto per evitarne la diffusione.
Per abitudine affermo solo ciò che posso verificare di persona. Ma nel 1998 ricevetti con tanta insistenza informazioni su una grossa moria di caprioli, avvenuta nei tempi precedenti, che volli approfondire la cosa e ne parlai con un certo dettaglio su TV Parma, senza ricevere allora né smentite , né contraddittorio. Ovviamente, per serietà, mi ero premunito al tempo di due persone, che avevano vissuto direttamente i fatti e avrebbero testimoniato la cosa.
Sono cose vecchie e dimenticate, possono non fare piacere e per questo non sono mai più tornato sul tema e non lo farò certo più in futuro. Ma ci tengo a precisare che di solito non butto a caso argomenti gratuiti, nemmeno quando si tratta di spendere una piccola parola a favore di una specie naturale in pericolo. Ciao Riccardo
Circa l’annotazione di Emanuele non la condivido perché l’equilibrio degli erbivori può considerarsi affidabile alle risorse alimentari solo in rari ambienti limite: per il resto ovunque sul nostro pianeta l’equilibrio è sempre dato dall’interazione con i predatori. Quindi sul territorio della nostra provincia o consideriamo il lupo così capillarmente diffuso ed efficiente da arrogarsi un ruolo assoluto di limitatore ed equilibratore degli ungulati, oppure il ruolo del predatore lo deve svolgere l’uomo, cercando di imitarne ritmi e stili di prelievo. L’equilibrio si raggiunge così, se invece pensiamo di poter affidare la limitazione al raggiungimento di un limite di pressione alimentare possibile, operiamo sicuramente una scelta scellerata, per l’ambiente e anche per la specie interessata.
Per l’ambiente appare scontato: da molti anni stiamo lanciando allarmi motivati e frutto di una esperienza che forse ad altri sfugge. Non solo orchidacee, ma anche e persino maggiormente iridacee e liliacee stanno contraendosi in modo progressivamente accelerato, parecchie specie sono a rischio estinzione sul nostro territorio, è questione di tempi brevi e per alcune a nostre vedere il tempo è già passato. I cinghiali sono sicuramente al vertice di responsabilità in questo settore, ma anche i caprioli stanno per esempio estinguendo preziose e rarissime popolazioni di Epipactis, per le quali pensiamo che il danno sia già ora probabilmente irreversibile.
Caro Emanuele, se devo essere sincero probabilmente le emozioni più forti della mia vita in natura non me le hanno offerte i fiori, ma le ho provato in incontri con animali, il capriolo è un esempio di bellezza e nobiltà, il cinghiale di fierezza, coraggio e intelligenza, per non parlare del lupo che amo senza riserve. Ma quando si parla di equilibrio in natura, i nostri sentimenti e le nostre emozioni non possono contare. Occorre essere freddi e razionali e preservare come bene supremo la biodiversità in tutti i suoi aspetti. Oggi ad essere gravemente minacciate sono specie vegetali, in conseguenza di un equilibrio naturale fortemente sbilanciato per la mancanza della possibilità di una presenza predatoria commisurata. Stai tranquillo che in una Natura non così invasa dall’uomo gli ungulati avrebbero trovato un rapido contenimento nei predatori naturali e non avrebbero sicuramente raggiunto la densità attuale. Ma talora questo aspetto, anziché motivo di allarme, è stato addirittura visto come ragione di compiacimento. Proprio nel nostro mondo ambientalista, vi era un tempo chi vantava come un successo avere sul proprio territorio una densità di 80 caprioli per 100 ettari di territorio. Ecco, per me questo non è equilibrio naturale, non è buona gestione del territorio ed è stata invece la partenza per molte sventure. Ritenere di affidare il contenimento degli ungulati a semplici limiti di risorse alimentari non mi sembra proprio ipotizzabile. Se tu andassi a proporre una simile ipotesi a uno dei tanti paesi mitteleuropei, che vantano una secolare ed efficace gestione degli ungulati, credo che susciteresti molte perplessità.
Ma veniamo ai danni alla specie da superdensità di popolazione, che sarebbero stati solo una forzatura per avere un’orchidea in più sul nostro territorio. Il cinghiale è onnivoro e di bocca buona e sa quindi resistere ottimamente al sovraffollamento, creando catastrofi alla flora spontanea e all’agricoltura, ma sicuramente non si indebolisce per questo. Il capriolo invece è un brucatore selettivo e, quando si trova costretto dal numero ad accontentarsi di una dieta più generica, si indebolisce. In paesi come Austria, Ungheria, Gemania, con ambienti sicuramente più duri del nostro per la vita degli ungulati, sono molto attenti a questo fattore. E casi di epidemie da stress alimentare sono abbondantemente riportate in letteratura, tanto che è universalmente considerato il rapporto massimo sostenibile di densità per il capriolo, in ambiente ottimale, sul valore di 10-11 capi per 100 ettari.
Il nostro Paese esula da queste considerazioni? Sicuramente qui le condizioni sono particolarmente favorevoli, l’alimentazione abbondante e gl’inverni più miti. Ma in Italia epidemie da stress alimentare non sono mai accadute? Il fatto è che se queste avvengono, si verificano ovviamente selettivamente in aree protette, tipo quelle di cui dicevo con gli sbandierati 80 capi per cento ettari.
E un’epidemia da stress alimentare non sarebbe motivo di lode per chi abbia gestito in quel modo il territorio. Quindi la notizia difficilmente filtra e certo si fa di tutto per evitarne la diffusione.
Per abitudine affermo solo ciò che posso verificare di persona. Ma nel 1998 ricevetti con tanta insistenza informazioni su una grossa moria di caprioli, avvenuta nei tempi precedenti, che volli approfondire la cosa e ne parlai con un certo dettaglio su TV Parma, senza ricevere allora né smentite , né contraddittorio. Ovviamente, per serietà, mi ero premunito al tempo di due persone, che avevano vissuto direttamente i fatti e avrebbero testimoniato la cosa.
Sono cose vecchie e dimenticate, possono non fare piacere e per questo non sono mai più tornato sul tema e non lo farò certo più in futuro. Ma ci tengo a precisare che di solito non butto a caso argomenti gratuiti, nemmeno quando si tratta di spendere una piccola parola a favore di una specie naturale in pericolo. Ciao Riccardo
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Re: Abbattimento specie "dannose"
Credo di essere stato frainteso. Chiarisco quindi fin da subito, come peraltro già detto nel post precedente, di non essere contrario al prelievo venatorio selettivo effettuato con tutti i crismi del caso. Ho però affermato, e continuo a farlo, che i prelievi venatori siano conseguenti a finalità antropiche, non alla salvaguardia di una specie dalle malattie/epidemie. Da bibliografia risulta evidente come le popolazioni di predatori in ambienti naturali non siano fattore di contenimento delle popolazioni erbivore, che invece sono sottoposte a riduzioni ed oscillazioni numeriche per cause climatiche e ambientali. Ricordo bene un convegno sul cervo tenutosi al Parco dello Stelvio nel 2005 quando uno studioso polacco portò l'esempio della foresta di Bialowieza (Polonia) come ecosistema integro, costituito di tutta la rete alimentare originaria. Ebbene, solo in rari e nevosissimi inverni (fattore clima preponderante) il cervo subiva contenimento e riduzione numerica (ovvero le predazioni superavano l'incremento utile annuo, con saldo finale negativo) sommando inverno rigido e predazioni da lupo, avvantaggiato nello spostamento su neve. Ricordo anche come lo stesso scienziato avesse evidenziato la peculiarità della situazione, dimostrando che in tutti gli altri casi studiati, e in assenza di estreme condizioni ambientali, i predatori non diminuiscono il numero di prede sotto l'incremento utile annuo, ovvero le prede aumentano comunque. Lo stesso vale da noi: probabilmente i lupi presenti in provincia, un'ottantina, non sono il massimo sostenibile dalle popolazioni di ungulati, ma anche fossero il doppio, o il triplo, davvero crediamo che riuscirebbero ogni anno a prelevare l'intero I.U.A. sommato di caprioli, cinghiali, cervi e daini?! Stiamo parlando di incrementi del 30-35% per il capriolo, fino al 180% per il cinghiale, circa il 20-25% per daino e cervo, ovvero migliaia e migliaia di individui ogni anno (coi dati numerici dei censimenti il calcolo è presto fatto).
Nessuno vuole qui nascondere il problema del pascolo su specie floristiche rare, e la caccia di selezione può servire a risolvere parte (forse una piccola parte) di un problema ben più ampio, costituito di tutte le modificazioni ambientali apportate dall'uomo, dallo sconvolgimento di equilibri ecologici e processi su tutte le scale, che vanno poi a trovare riscontro, uno tra tanti, in una pressione eccessiva di una specie su di un'altra.
Allora che la conservazione di specie vegetali (ma anche animali, penso agli anfibi predati dai cinghiali e privati delle pozze, usate come insogli) sia una priorità, d'accordo. Ma chiariamo come alla base di tutto ci sia sempre l'uomo, non il capriolo o il cinghiale, che fanno solo il loro mestiere.
Per questo di certo non devono essere le emozioni a guidarci, bensì una razionalità scientifica basata su studi e conoscenze, consapevoli però del perché ultimo che si nasconde dietro alle poche e finali fasi manifeste della vita naturale. La caccia non è la vera soluzione perché va ad agire sull'effetto, non sulla causa; andrà bene per un po', anzi, si può affermare già ora che funzioni poco perché molte specie stanno ugualmente sparendo. Allora forse è il momento di trovare nuove soluzioni, più a monte, che agiscano realmente sul territorio e sulle specie che lo popolano, cercando di risolvere i problemi alla radice, non solo tirando via le mele marce.
Ciao,
Emanuele
Nessuno vuole qui nascondere il problema del pascolo su specie floristiche rare, e la caccia di selezione può servire a risolvere parte (forse una piccola parte) di un problema ben più ampio, costituito di tutte le modificazioni ambientali apportate dall'uomo, dallo sconvolgimento di equilibri ecologici e processi su tutte le scale, che vanno poi a trovare riscontro, uno tra tanti, in una pressione eccessiva di una specie su di un'altra.
Allora che la conservazione di specie vegetali (ma anche animali, penso agli anfibi predati dai cinghiali e privati delle pozze, usate come insogli) sia una priorità, d'accordo. Ma chiariamo come alla base di tutto ci sia sempre l'uomo, non il capriolo o il cinghiale, che fanno solo il loro mestiere.
Per questo di certo non devono essere le emozioni a guidarci, bensì una razionalità scientifica basata su studi e conoscenze, consapevoli però del perché ultimo che si nasconde dietro alle poche e finali fasi manifeste della vita naturale. La caccia non è la vera soluzione perché va ad agire sull'effetto, non sulla causa; andrà bene per un po', anzi, si può affermare già ora che funzioni poco perché molte specie stanno ugualmente sparendo. Allora forse è il momento di trovare nuove soluzioni, più a monte, che agiscano realmente sul territorio e sulle specie che lo popolano, cercando di risolvere i problemi alla radice, non solo tirando via le mele marce.
Ciao,
Emanuele
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Re: Abbattimento specie "dannose"
Immagino Riccardo ed Emanuele piegati sulle loro tastiere nel cuore della notte nell'intento di non lasciare niente al caso, e vi ringrazio molto per le vostre analisi, ma concorderete che alla fine è anche la casualità, il fattore non considerato, inaspettato che può modificare gli ecosistemi; a parte questo, e rifacendomi al fatto inconfutabile già evidenziato da Riccardo che in realtà l'unica specie in soprannumero sul pianeta siamo noi, e ciò non ostante i numerosi conflitti preistorici, storici e attuali che hanno di fatto "abbattuto" milioni di esseri umani ( e spesso anche attraverso veri e propri "piani di abbattimento" in qualche modo concordati da chi a torto ovviamente credeva di detenere l'onnipotenza), visto il problema come naturalista direi subito che si dovrebbe lasciar fare appunto alla natura, concedendole tutto il tempo necessario, e accettando incondizionatamente il nostro destino; visto come contadino chiederei subito al cacciatore e con apprensione di contenere la selvaggina (e così facendo però ogni anno saremmo da capo); visto come animalista, e devo ammettere che alla fine un pò lo sono, urlerei di lasciar stare, di non toccare gli animali perchè anche loro sono esseri viventi come noi e noi non possiamo decidere della loro sorte (ma nemmeno loro della nostra);visto come politico, direi che non saprei da che parte voltarmi, e poi comunque se fossi un politico ovviamente non saprei che pesci pigliare
; ma alla fine se tutti insieme consideriamo il problema nella sua complessità, e lo facciamo con intelligenza, non possiamo non essere d'accordo sul fatto come ha già detto Emanuele, che il problema va affrontato alla radice, e questo significa che porre fine ai ripopolamenti, agli spostamenti di animali d'ogni specie, agli allevamenti di animali da reintrodurre in natura e alla caccia come attività sportiva, dovrebbe essere un primo passo deciso da fare.
Ora vado altrimenti rimango senza....

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nadia ed enrico, www.florautoctona.com
Re: Abbattimento specie "dannose"
Ma se parliamo di specie dannose e di conservazione della biodiversità come non vedere che da questo punto di vista è proprio l'uomo la specie che ha dato e sta dando più problemi
E quindi quale soluzione: abbattimenti selettivi? estirpazione radicale? sterilizzazione di massa? Quello che l'uomo fa con le specie "antagoniste"!
Ci preoccupiamo di caprioli e cinghiali che ci mangiano i bulbi delle orchidee mentre noi tutti i giorni immettiamo nell'aria e nell'acqua milioni di tonnellate di veleni, tagliamo chilometri quadrati di foreste e prosciughiamo corsi d'acqua e laghi per irrigare campi o produrre energia per stare più comodi

Giuliano Gerra

E quindi quale soluzione: abbattimenti selettivi? estirpazione radicale? sterilizzazione di massa? Quello che l'uomo fa con le specie "antagoniste"!
Ci preoccupiamo di caprioli e cinghiali che ci mangiano i bulbi delle orchidee mentre noi tutti i giorni immettiamo nell'aria e nell'acqua milioni di tonnellate di veleni, tagliamo chilometri quadrati di foreste e prosciughiamo corsi d'acqua e laghi per irrigare campi o produrre energia per stare più comodi



Giuliano Gerra
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Re: Abbattimento specie "dannose"
g.gerra ha scritto:Ci preoccupiamo di caprioli e cinghiali che ci mangiano i bulbi delle orchidee mentre noi tutti i giorni immettiamo nell'aria e nell'acqua milioni di tonnellate di veleni, tagliamo chilometri quadrati di foreste e prosciughiamo corsi d'acqua e laghi per irrigare campi o produrre energia per stare più comodi
è anche vero però che nutrie, cinghiali, caprioli, siluri e compagnia sono stati immessi da noi e seguendo anch'essi il principio evangelico del "crescete e moltiplicatevi" stanno creando problemi. E dal "vibrante" dibattito acceso sul Taccuino si sono levate sagge voci per contribuire almeno in parte a risolvere il problema andando possibilmente alla radice.
E proprio a causa del progressivo avvelenamento di suolo, acqua, aria e cibo sempre più gli abbattimenti selettivi, sterilizzazioni ed estirpazioni (talvolta anche di massa) che noi pratichiamo sulle specie antagoniste, a mio parere sono già in atto anche contro noi stessi. Molti sono i segni in proposito. Incrociamo le dita!
Luigi
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Re: Abbattimento specie "dannose"
g.gerra ha scritto:Ma se parliamo di specie dannose e di conservazione della biodiversità come non vedere che da questo punto di vista è proprio l'uomo la specie che ha dato e sta dando più problemi![]()
E quindi quale soluzione: abbattimenti selettivi? estirpazione radicale? sterilizzazione di massa? Quello che l'uomo fa con le specie "antagoniste"!
Ci preoccupiamo di caprioli e cinghiali che ci mangiano i bulbi delle orchidee mentre noi tutti i giorni immettiamo nell'aria e nell'acqua milioni di tonnellate di veleni, tagliamo chilometri quadrati di foreste e prosciughiamo corsi d'acqua e laghi per irrigare campi o produrre energia per stare più comodi![]()
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Giuliano Gerra
E' proprio l'uomo, siamo tutti d'accordo,ma non noi, non io perlomeno; la maggioranza della popolazione umana vuole fortemente praticare uno stile di vita insostenibile a danno di tutti gli altri esseri viventi del pianeta, uno stile basato sulla perdita di adattamento all'ambiente circostante e sulla sottrazione di biodiversità, risorse e spazi all'ambiente circostante, che privilegia (si fa per dire) pochi attraverso la riduzione in miseria di molti, ivi compresi gli animali incapaci di sostenere un conflitto con la malvagia intelligenza degli umani; accade assurdamente che proprio gli animali e le popolazioni umane che ancora hanno saputo mantenere un buon adattamento sostenibile all'ambiente siano costretti a farsi da parte, a cedere alle prepotenze e alla presunzione dell'homo bellico-tecnologicus; eppure è sicuramente un'esempio di grande debolezza questo dell'uomo moderno, assolutamente incapace di rispettare l'ambiente e gli altri esseri viventi del pianeta, e in preda alle proprie "esigenze" da megalomani astratti privi di coscienza e sempre pronti a scaricare sul prossimo le proprie responsabilità. Allora non siamo noi, perlomeno non sono io, ma qualcun altro a decidere per noi e a compiere i misfatti, e sono d'accordo con Luigi che comunque non potrà durare e alla fine anche costoro dovranno ridimensionarsi, nel numero, nelle "esigenze", e nello stile di vita che da astratto dovrà tornare ad essere sostenibile, e nel frattempo a noi, o perlomeno a me, e agli animali toccherà subire; aggiungo anche che la matematica ci dice che più gli scellerati andranno avanti nel tempo con le loro attività dissennate, più duro sarà il rientro dei superstiti in condizioni di vita sostenibili per tutti.
nadia ed enrico, www.florautoctona.com
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Re: Abbattimento specie "dannose"
Caro Enrico,
credo tu abbia toccato il tasto più dolente e più importante: il persistere nel pensare comune della certezza assoluta che l'uomo (inteso come specie, non come singoli individui, perché credo p.es. i taccuinisti ne siano escludibili) alla FINE troverà la soluzione, che la scienza e la tecnologia raggiungeranno livelli tali da mettere tutto a posto. Manca totalmente la consapevolezza che nessuno "obbliga" l'uomo ad esistere e che, attualmente, stiamo invece facendo molto per ferire la Terra, ma soprattutto per estinguere noi stessi. Il vedere la nostra specie semplicemente come una tra le milioni di altre esistenti ed esistite, destinata prima o poi a scomparire, è qualcosa davvero difficile da accettare per chi non si occupa di natura, sebbene creda lo sia un po' per tutti.
Probabilmente esiste (è esistito?) un punto di non ritorno, ma non sappiamo quando/dove. Per un semplice principio di precauzione avremmo già dovuto fermarci da un pezzo; non l'abbiamo fatto e non lo stiamo facendo, con l'unica conseguenza di diminuire le nostre chance di sopravvivenza.
L'unico reale appiglio che vedo (che scorgo malamente tra la nebbia, a dire il vero) è l'educazione massiva delle giovani generazioni al rispetto della Terra, delle altre forme di vita, all'esistenza di alternative sostenibili possibili. Le nostre generazioni, pur fallendo in gran parte, hanno perlomeno svelato l'esistenza di un problema. La risoluzione è lontana, ma non resta che provarci...
Ciao,
Emanuele
P.S. Scusate per la "botta di ottimismo"
credo tu abbia toccato il tasto più dolente e più importante: il persistere nel pensare comune della certezza assoluta che l'uomo (inteso come specie, non come singoli individui, perché credo p.es. i taccuinisti ne siano escludibili) alla FINE troverà la soluzione, che la scienza e la tecnologia raggiungeranno livelli tali da mettere tutto a posto. Manca totalmente la consapevolezza che nessuno "obbliga" l'uomo ad esistere e che, attualmente, stiamo invece facendo molto per ferire la Terra, ma soprattutto per estinguere noi stessi. Il vedere la nostra specie semplicemente come una tra le milioni di altre esistenti ed esistite, destinata prima o poi a scomparire, è qualcosa davvero difficile da accettare per chi non si occupa di natura, sebbene creda lo sia un po' per tutti.
Probabilmente esiste (è esistito?) un punto di non ritorno, ma non sappiamo quando/dove. Per un semplice principio di precauzione avremmo già dovuto fermarci da un pezzo; non l'abbiamo fatto e non lo stiamo facendo, con l'unica conseguenza di diminuire le nostre chance di sopravvivenza.
L'unico reale appiglio che vedo (che scorgo malamente tra la nebbia, a dire il vero) è l'educazione massiva delle giovani generazioni al rispetto della Terra, delle altre forme di vita, all'esistenza di alternative sostenibili possibili. Le nostre generazioni, pur fallendo in gran parte, hanno perlomeno svelato l'esistenza di un problema. La risoluzione è lontana, ma non resta che provarci...
Ciao,
Emanuele
P.S. Scusate per la "botta di ottimismo"

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Re: Abbattimento specie "dannose"
Si di certo indietro non si torna, ma anche se scienza e tecnologia sono già molto avanti ( e se fossero gestiti con oculatezza e a ragion veduta basterebbero a risolvere tutti i problemi), lo sono solo per pochi e questo crea inevitabilmente disuguaglianza sociale e conflitti; nei conflitti è insito il rischio maggiore di vedere l'intera umanità regredire ad uno stadio che potrebbe anche significare la nostra uscita di scena, ma anch'io credo che alla fine le nostre nuove generazioni sapranno gestirsi meglio di quelle che le hanno precedute e tutto si risolverà.
Mai scusarsi per l'essere ottimisti!
Mai scusarsi per l'essere ottimisti!
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